L'ARTE DEI KHATCHKAR - LE CROCI SCOLPITE SULLE PIETRE
                                                                                                                                             

La tradizione e l'arte dei khatchk'ar - letteralmente «croci di pietra» - rappresenta senza dubbio una delle manifestazioni più originali del costume e della religiosità del popolo armeno. Queste lastre o stele, segnate dalla croce, si diffondono a partire dal medioevo come simboli votivi, celebrativi e funerari, innalzate sia isolate che raggruppate in vaste distese cimiteriali sul territorio, oppure incluse fra i conci nei paramenti murari degli edifici o ricavate direttamente sui fronti rocciosi.
Com' è noto, la diffusione dei cippi e stele memoriali in area paracaucasica risaliva a remote età precristiane: ad esempio, già nei menhir della regione di Sissian (sesto millennio a.c.) o nei vishap, nei dragoni apotropaici, e più avanti nei monoliti urartei percorsi da lunghe scritte in caratteri cuneiformi (VIII-VII secolo a.C.). Con l'inizio del periodo paleocristiano, già dal IV secolo, ogni simbolo pagano fu gradualmente soppiantato dalla croce, spesso elevata per consacrare al nuovo culto gli aborriti santuari del passato, oppure a tramandare la memoria dei primi martiri della fede. Sempre a quanto riferiscono le fonti, la croce destinata a tale uso fu dapprima semplicemente lignea, per diventare litica col tempo e offrire così una migliore resistenza all'usura, agli agenti atmosferici o alle manomissioni intenzionali. Nel cerimoniale funerario, tuttavia, sopravvisse per qualche tempo ancora (V-VII secoli) l'impiego delle stele, riccamente decorate sulle facce da rilievi vegetali, geometrici e da figurazioni religiose. In alcuni casi, addirittura, divenute sempre più slanciate a modo di obelischi, esse vennero inserite entro diaframmi architettonici ad arcate, come dimostrano i notevoli esempi superstiti di Odzun (VI secolo) e di Aghudì (VII secolo), in cui risulta sfruttata appieno la loro evocazione monumentale.

Con la cessazione del predominio arabo e il ripristino della sovranità nazionale ebbe luogo una prima diffusione del khatchk'ar propriamente detto, dapprima ricavato da massi frantumati, con croci semplicemente incise, quindi ottenuto da blocchi approssimativamente sbozzati, poi via via sagomati con cura fino a raggiungere la forma appiattita e, talvolta, il coronamento curvilineo tipico degli esemplari più eleganti del periodo arcaico (IX-X secolo). Fra i pezzi più antichi datati con sicurezza occorre ricordare i khatchk'ar della regina Katranidé a Garnì (879) e di Grigor Amirnersehi, principe di Siunik' e Aghvank', a Metz Mazra (881).
Le fasi evolutive di siffatta tipologia possono essere suddivise convenzionalmente per ampi settori storici: dunque, un periodo iniziale di ricerche e sperimentazioni sulla configurazione, quindi un periodo 'classico' di codificazione formale e di massima fioritura (XI-XII sec.), infine un apparente periodo di stasi seguito dalla ripresa dei temi tradizionali, integrati però da motivi figurativi ed elementi stilistici iranizzanti (a partire dal XVI secoli). Anche a prescindere dalle sue valenze artistiche e dalle sue connotazioni simboliche, il khatchk'ar rappresenta, in virtù del suo carattere commemorativo, una fonte storica di primaria importanza, un vero archivio di pietra: di fatto, esso è generalmente accompagnato da epigrafi circostanziate, che ne motivano l'esecuzione, ne esplicitano la committenza, ne forniscono la data di realizzazione e perfino il nome dello scalpellino.

Nonostante forme, dimensioni e programmi decorativi dei khatchk'ar mutassero sensibilmente nel progresso della loro vicenda artistica in ordine all'epoca, ai luoghi di produzione, alla destinazione e alle maestranze, il segno iconografico caratterizzante la croce si mantenne sostanzialmente immutato nelle sue linee essenziali. Tolti i casi più antichi, in cui il simbolo appare fortemente geometrizzato, la forma prevalente della croce può infatti ricondursi, pur nelle sue infinite varianti calligrafiche e stilizzazioni, allo schema 'ansato', con bracci espansi alle estremità e riccioli sugli spigoli. Comunemente, la croce appartiene al tipo 'alato', con foglie germinate alla base e simmetricamente disposte ai due lati, richiamando così l'albero della vita, secondo un motivo iconografico ampiamente noto all'arte sia cristiano-orientale che altomedievale d'occidente, pur senza raggiungere la straordinaria fortuna attribuitagli dalla plastica armena. Assai spesso, inoltre, con chiaro riferimento semantico, la croce è anche fruttifera, dotata di tralci sinuosi carichi di grappoli o di pigne. Alla sua base, infine, si trova un cuneo generalmente a gradoni, espediente estratto per simboleggiare il Golgotha, oppure un disco istoriato, una 'rosetta' allusiva al seme fecondo donde germoglia il fusto.

La forma canonica di khatchk'ar, una spessa lastra rettangolare o svasata in alto, tagliata nel tenero tufo locale e ornata di rilievi minuti e raffinati, cominciò a diffondersi nel corso dell'XI secolo. Quindi, fra XI e XII secolo, avvenne anche la strutturazione definitiva del suo modello monumentale, con una cornice superiore orizzontale, aggettante e raccordata a gola rovescia, e un piede o plinto alla base, destinato ad arricchirsi di varie membrature negli esempi più importanti (khatchk'ar nei monasteri di Sanahin, Ketcharis, Saghmossavank', Haghartzin, etc., XII-XIII secoli). Le figurazioni distribuite sulla faccia principale, sempre rivolta ad occidente, assumeranno nel tempo una disposizione fissa: la rappresentazione della croce sbalzata sul fondo incavato del campo centrale e un largo riquadro sui lati, lavorato al trapano con motivi a intreccio vegetale o geometrico. Questa impaginazione, mantenutasi fino al XIV secolo, verrà ripresa ancora in molte stele più tarde del XVI-XVII secolo (a Kamo, Bdjnì, Martunì, etc.).
I vertici assoluti di perfezione formale e di perizia tecnica appaiono raggiunti dall'arte dei khatchk'ar nel XII-XIV secolo. Nella produzione di quell'epoca la croce risulta profilata da un contorno continuo a nastro, che si avvolge in occhielli in corrispondenza degli apici dei bracci; il corpo è percorso da un motivo ornamentale più minuto, a fitti intrecci accavallati e annodati, mentre il fondo, quando non è mantenuto liscio per contrappuntare l'elemento dominante, riprende la stilizzazione delle foglie di base e si dispone in una rete di racemi e girali con foglioline e germogli terminali. Il disco inferiore, simbolo del seme, è spesso rilevato a cabochon e traforato da una trama di finissimi motivi vegetali irradiati dal centro. I bordi, infine, sempre impegnati da intrecci nastriformi o viminei, possono presentare ampie tessiture costituite da un solo motivo elementare, indefinitamente sviluppato senza soluzione di continuità, oppure singoli motivi differenziati, che si susseguono in pannelli sovrapposti. In alcuni rarissimi khatchk'ar, di esemplare virtuosismo tecnico e di suggestivo effetto, verrà addirittura riprodotto il processo di pietrificazione del ricamo all'ago, evidente prototipo figurativo: di fatto, nella stele di Goshavank, opera di Poghos (1291), e nel suo pendant forse del medesimo artista, così come nel khatchk'ar firmato da Momik (1308), proveniente da Noravank' e oggi a Edjmiatzin, il disegno generale e la resa dei particolari, riflettono fedelmente la tecnica e l'ordito del celebrato merletto armeno.

A partire dal XIII secolo, accanto al modello aniconico di khatchk'ar fece la sua comparsa anche la variante figurata, peraltro assai meno diffusa, convenzionalmente detta del tipo Amenap'rkitch, ossia del Salvatore. In essa la croce tradizionale è sostituita dalla scena della Crocifissione, espressa nella sua redazione iconografica ampliata, con la Madre e San Giovanni dolenti: così nei migliori esempi più antichi, come la stele di Haghbat, realizzata da Vahram nel 1273, o quella di Edjmiatzin, eretta in origine da Mamikon (1279) nei dintorni di Vedi. Sempre nello stesso periodo, inoltre, altre scene minori compaiono con maggiore frequenza nei khatchk'ar di tipo tradizionale, inserite soprattutto nella fascia superiore del coronamento: esse riproducono, accanto ai più consueti soggetti della Madonna col Bambino e del Pantokrator, figurazioni chiaramente allusive alla tematica della salvezza, come l'Anastasis, l'Ascensione e, fra le più diffuse, la Deesis, cioè l'intercessione della Vergine e del Battista (frammento di khatchk'ar del principe Prosh, oggi al Museo storico di Stato di Jerevan, XIII secolo; khatchk'ardi Grigor Khaghbakian da Imirzek, oggi a Edjmiatzin, 1233; il già ricordato khatchk'ar di Momik da Noravank' di Amaghu, ecc.).
La vasta produzione dei secoli successivi, quando ormai l'Armenia storica, privata della propria autonomia risultava ripartita fra la Turchia ottomana e l'Iran safavide, presenta connotazioni di ripetitività ed eclettismo, derivate all'evidenza dal mutato status politico: da un lato, dunque, la riproduzione di formule tradizionali, sempre più stilizzate nel disegno e dominate da un esasperato decorativismo, dall'altro la combinazione di differenti impronte stilistiche, non ultime quelle iranizzanti.
È importante analizzare anche l'incidenza che tali steli hanno determinato nel paesaggio. Di fatto, nei periodi di progressiva espansione e di definitiva affermazione della pratica dei khatchk'ar memoriali vennero impiantati anche i primi nuclei delle distese funerarie nel territorio rurale, vaste necropoli fortemente caratterizzanti del contesto paesistico, punteggiate da una miriade di lastre infisse nel suolo, tutte univocamente orientate. Molte di queste spianate cimiteriali si conservano tuttora, distribuite un po' ovunque, ma soprattutto nell'area litoranea del lago Sevan, a Noraduz, Kamo, Martunf, ecc, oppure nei dintorni di Hin Djugha (Vecchia Giulfa) nel Siunik' meridionale, oggi Nakhidjevan. Tuttavia, se dopo tutto siffatta qualificazione dell'ambiente naturale può apparire in fondo incidentale, maturata e concretizzata nei secoli attraverso il moltiplicarsi di tali stele, è ben consapevole la riplasmazione del paesaggio rupestre che troviamo a Geghard: in quel monastero, infatti, la parete rocciosa che incombe sul versante settentrionale del complesso risulta letteralmente costellata di khatchk'ar (XII-XIII secolo), in parte lavorati direttamente nella viva pietra e in parte realizzati in altri tufi e poi inseriti nelle cavità naturali. (di: Giulio Ieni).


Areni

Geghard


Sanahin
                                                                                                                    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

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